A cura di Sergej Androsov – Massimo Bertozzi – Ettore Spalletti
8 LUGLIO – 22 OTTOBRE 2017
Apre al pubblico il prossimo 8 luglio a Carrara la mostra “Dopo Canova.Percorsi della scultura a Firenze e a Roma”, curata da Sergej Androsov, Massimo Bertozzied Ettore Spalletti. Per l’occasione le sale dell’ottocentesco Palazzo Cucchiari, sede della Fondazione Giorgio Conti che dal 2015 produce e promuove mostre dedicate all’Ottocento e ad artisti contemporanei, ospiteranno una trentina di sculture, provenienti dal Museo Ermitage di San Pietroburgo e da collezioni pubbliche e private italiane Da Canova a Duprè, passando per Berthel Thorvaldsen e Lorenzo Bartolini,
le opere in mostra costituiscono un percorso esemplare che parte dalla difficile costruzione di un nuovo linguaggio figurativo nel passaggio dall’Impero alla Restaurazione, per giungere alla metà del XIX secolo, mettendo a confronto la scultura di ambito romano con quella fiorentina.Sono tre opere diCanova – Ritratto di Napoleone e Amore alato dell’Ermitage, e il modello del Monumento funebre a Vittorio Alfieri(proveniente dalla locale Accademia di Belle Arti)- che aprono l’esposizione e segnano l’avvio di un itinerario nella scultura che si dirama verso Firenze e Roma.A Firenze sarà di capitale importanza l’insegnamento di Lorenzo Bartolini per la capacità di traghettare il linguaggio scultoreo di impostazione neoclassica verso il naturalismo, attraverso il purismo di Ingres e il recupero del classicismo del Rinascimento fiorentino: il Giovane Bacco(l’Ammostatore) che è qui esposto testimo.
nia la tensione al rinnovamento e l’adesione a una poetica del “Bello Naturale”.A recepirne la lezione saranno un gruppo di scultori attivi fin oltre la metà del secolo: Luigi Pampaloni,Aristodemo Costoli,Pio Fedi e Pasquale Romanelli, nei quali il rinnovamento del linguaggio procede di pari passo con l’elaborazione di temi romantici. Emblematici di questa tendenza i due gruppi scultorei di Pasquale Romanelli(Raffaello e la Fornarina) e di Pio Fedi(Nello con la Pia) provenienti, rispettivamente, dall’Ermitage e dalla Galleria d’Arte Moderna di Firenze. A questi si innesta l’esperienza senese rappresentata da un “outsider” come Giovanni Duprè, in mostra con cinque opere tra le quali la Saffo abbandonata della GNAM di Roma, e da Tito Sarrocchi, che fu allievo del Bartolini e dello stesso Duprè.
Di segno diverso è l’esperienza romana, in cui la committenza del Papato, delle grandi famiglie nobiliari e dei sovrani europei in Grand Tour è ancora fortemente legata al classicismo canoviano e all’opera di Thorvaldsen, di cui sono testimonianza le opere di Emil Wolff e di Rinaldo Rinaldi qui esposte.
Dopo la morte di Canova e il ritorno in Danimarca di Thorvaldsen i carraresi Pietro Tenerani, Luigi Bienaimè e Carlo Finelli diventano protagonisti della scultura a Roma, e, sebbene nelle loro opere si riscontrino elementi di novità, non riescono, tuttavia, a liberare la scultura romana dal peso di una tradizione del tutto funzionale ai gusti della committenza. La mostra si concentra dunque su questa polarizzazione di gusti e di intenzioni figurative attraverso un excursus tra i migliori artisti della prima metà dell’Ottocento e attraverso una campionatura di opere di grande interesse alcune delle quali raramente esposte al pubblico: come Le Tre Grazie di Carlo Finelli in cui il tema squisitamente Neoclassico si confronta con un processo creativo di segno romantico.
Lorenzo Bartolini (Prato 1777 – Firenze 1850).Dopo la formazione fiorentina, si trasferì a Parigi nel 1799, dove frequentò lo studio di David e si impose all’attenzione generale.
Grazie all’interessamento della famiglia imperiale, venne nominato professore di scultura all’Accademia di Belle Arti di Carrara nel 1807 e divenne lo scultore ufficiale della famiglia Bonaparte.
Dal 1815 tornò a Firenze, dove non gli fu facile far dimenticare i suoi recenti legami politici e soprattutto professare le sue idee artistiche, ormai decisamente anticlassiche.
Trovò tuttavia diversi estimatori nella colonia straniera insediata a Firenze e le qualità della sua scultura furono presto riconosciute in Italia e all’estero.
Tra le sue opere più note andranno segnalate almeno la Fiducia in Dio e la Ninfa dello Scorpione, elogiata senza mezze misure da Baudelaire, quando fu presentata al Salon parigino del 1845.
Aristodemo Costoli (Firenze 1803 – 1871)
Nacque a Firenze da Francesco ed Anna Masoni il 6 settembre 1803. Alla giovane età di dodici anni si iscrisse all’Accademia fiorentina dove studiò con i pittori Pietro Ermini, Giuseppe Bezzuoli e Pietro Benvenuti Le sue prime opere sono infatti dei dipinti: Santa Filomena (sull’altare di S. Pietro a Careggi), due autoritratti (Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti). I suoi studi furono poi diretti poi alla scultura, sotto il maestro Stefano Ricci.
Nel 1832 ricevette la commissione prestigiosa per il monumento a Galileo da collocare sulla tribuna di Galileo nel Museo della Specola. Insieme a quella di Galileo, la scultura di Costoli più nota è il Pegaso del Giardino di Boboli, che dà nome ad uno spettacolare prato in dolce discesa . Il Pegaso è stato addirittura usato per alcuni anni come macchina mobile di scena durante gli spettacoli del Maggio Musicale Fiorentino, che si svolgevano all’interno del giardino; il cavallo poggiava infatti su un carrello di ferro, che scorreva su dei binari ancora esistenti.
Ormai noto a livello nazionale, Costoli ricevette numerose commissioni prestigiose, non solo a Firenze, ma anche in altre città italiane.
Giovanni Duprè (Siena 1817 – Firenze 1882)
Nacque a Siena nella via che oggi porta il suo nome, figlio di un intagliatore in legno. Anche Giovanni si formò come intagliatore, nella bottega di Paolo Sani, sita in piazza San Biagio. In seguito si trasferì a Firenze, dove frequentò l’Accademia di Belle Arti e dove fu allievo nella bottega di Luigi Magi, come lo stesso Duprè ricorda nel suo Pensieri sull’arte e ricordi autobiografici (Ed. Le Monnier, 1906).
L’opera che gli diede fama sin da giovane fu un Abele morente (marmo, 1842), modellata quando aveva appena venticinque anni. Dopo essersi procurato il materiale necessario e aver affittato un piccolo studio di fronte alla chiesa dei Santi Simone e Giuda, individuò al corso di nudo dell’Accademia colui che doveva servirgli da modello: Antonio Petrai detto il Brina.
L’Abele riscosse un grande successo di pubblico e fu lodato da Lorenzo Bartolini e Luigi Pampaloni, ma altri lo criticarono aspramente, affermando che Duprè aveva fatto un calco dal vero, anziché modellare la statua. Si arrivò persino a spogliare il Petrai per dimostrarlo, ma l’azione rese invece evidente che le dimensioni del modello non coincidevano affatto con quelle del marmo. L’opera fu acquistata dalla zar di Russia e ora si trova all’Ermitage.
Un anno dopo eseguì così il Caino, scultura eretta a tutto tondo di impostazione più accademica; anche questa è conservata all’Ermitage.
Pio Fedi (Viterbo 1816 — Firenze 1892)
Si formò all’Accademia di Belle Arti di Firenze ed ebbe modo di visitare anche Vienna, per due anni, dal 1837 al 1838. Fin dalla sua gioventù la sua produzione è particolarmente ricca di disegni e bozzetti. In quegli anni a Firenze si scontravano due correnti in scultura, e lui seguì prima la linea purista per poi avvicinarsi a quella del realismo ideale. Scolpì due sculture per il loggiato degli Uffizi (Nicola Pisano – firmata – e Andrea Cesalpino), ma il suo lavoro più noto è il Ratto di Polissena, dal vivo dinamismo, unica scultura moderna scelta per figurare nella Loggia della Signoria (1866).
Tra le molte opere si ricordano anche la Libertà della Poesia per il monumento funebre di Giovan Battista Niccolini in Santa Croce, il disegno del Monumento al Generale Manfredo Fanti in Piazza San Marco a Firenze, o la statua di Pietro Torrigiani nel Giardino Torrigiani. Nel 1876, ricostruì i leoni della fontana di Piazza delle Erbe, di Viterbo.
Il suo studio si trovava dal 1842 in via dei Serragli, nella ex-chiesa dello scomparso monastero di Santa Chiara che ancora oggi viene indicata come la Galleria Pio Fedi.
Luigi Pampaloni (Firenze 1791 — 1847)
Fu allievo di Lorenzo Bartolini all’Accademia di Carrara e tornò a Firenze in seguito alle costrizioni napoleoniche. Tra le sue prime opere ci sono dei piccoli busti in alabastro di Napoleone stesso, arrivando, nel 1811 a entrare nelle committenze di Elisa Bonaparte quale seguace dell’apprezzato Bartolini. A palazzo Pitti eseguì per la principessa d’Etruria le lunette a stucco del bagno, con bassorilievi tipicamente neoclassici: Galatea, il bagno di Venere e il rapimento di Ganimede
Dal 1826 lavorò, con Giovannozzi, alla fontana di piazza della Collegiata a Empoli. Lo stesso anno ricevette la commissione del nobile polacco Franciszeck Potocki per un putto orante, (una copia, forse quella di proprietà dei Mastiani Brunacci, si trova a Capannoli presso Baldini Orlandini Irene) tra le sue migliori realizzazioni. La statua ebbe una notevole notorietà e gli vennero richieste molte copie, anche dall’estero. Nel 1840 una testimonianza del Tosio riporta una querelle parigina tra chi sostenesse che il suo putto fosse invece un’opera di Canova.
Sempre per una committenza polacca realizzò la scultura funeraria per la principessa Maria Radziwiłł e nei primi anni Trenta si recò a corte di Ferdinando II delle Due Sicilie. Nel 1833 realizzò la statua di Pietro Leopoldo per la piazza Santa Caterina, a Pisa.
Risale al 1834 un busto-ritratto di Maria Antonietta di Borbone, sorella di Ferdinando II e seconda moglie del granduca di Toscana Leopoldo II. Poco dopo scolpì le due statue di Filippo Brunelleschi e Arnolfo di Cambio collocate nel palazzo dei Canonici in piazza del Duomo a Firenze. Nel 1836 scolpì una Venere conservata nella Sala del Cenacolo dell’Accademia di Firenze.
Tra il 1837 e il 1839 scolpì la statua di Leonardo da Vinci per il piazzale degli Uffizi. Tra le sculture funebri scolpì il monumento a Luciano Bonaparte e quello a Giulia Clary-Bonaparte, moglie di Giuseppe Bonaparte. Quest’ultima statua venne terminata nel 1847 e posta nella cappella Bonaparte (già Giugni) nella basilica di Santa Croce, davanti al monumento a Carlotta Bonaparte del suo maestro Bartolini.
Raffaello Romanelli (Firenze 1856 — 1928)
Il Professore Raffaello Romanelli fu membro di una famiglia di scultori composta dal padre Pasquale Romanelli, dal figlio Romano. Appunto con il padre comincia gli studi artistici, poi si iscrive all’Accademia di belle arti di Firenze, è allievo di Augusto Rivalta (allievo di Giovanni Dupré e una volta diplomato comincia a lavorare nell’atelier di famiglia. Nel 1880 vinse il pensionato di Roma con un Muzzio Scevola, e ottenne il premio quadriennale dell’Accademia con l’Opera L’Indemoniato che si Getta ai Piedi di Cristo. A 30 anni, nel 1889 è eletto giudice per l’Italia nella sezione delle Arti per l’Exposition Universelle di Parigi.
Già da giovane vince molti concorsi, sia nazionali che internazionali, venendo particolarmente apprezzato negli Stati Uniti, molte sue opere si trovano a Detroit e Kansas City, dove gli è stato addirittura dedicato un parco, il Romanelli Garden, e in Romania, dove fu l’artista ufficiale della famiglia reale, di cui ha dipinto quattro ritratti, e dove ha realizzato 40 opere.
In Italia invece tra le sue opere maggiori possiamo ricordare il monumento al re Carlo Alberto, il monumento di Giuseppe Garibaldi a Siena, il busto di Benvenuto Cellini sul Ponte Vecchio di Firenze e il cenotafio di Donatello nella basilica di San Lorenzo, sempre a Firenze. Lavorò anche a Livorno, dove si occupò delle decorazioni scultoree della cappella Bastogi nel cimitero della Misericordia e del busto a Benedetto Brin. Ma la sua fama è legata al grande gruppo in bronzo da lui eretto agli “studenti caduti a Curtatone” nell’Univestià di Siena e al colossale monumento equestre a Carlo Alberto al giardino del Palazzo del Quirinale in Roma. Ha insegnato all’Accademia delle Belle Arti di Firenze.
Tito Sarrocchi (Siena 1824 — 1900)
Di umili origini, dovette provvedere al sostentamento dei fratelli dopo la morte della madre. Fin da piccolo frequentò il laboratorio che si occupava dei restauri del Duomo di Siena, interessandosi all’arte e in particolar modo alla scultura. Si trasferì nel 1841 a Firenze dove seguì i corsi serali dell’Accademia di Belle Arti con Lorenzo Bartolini e in seguito entrò nella bottega di Giovanni Dupré, suo concittadino.
Nel 1852 creò la sua prima opera indipendente, La Baccante, e nel 1855 venne scelto per ultimare il monumento a Giuseppe Pianigiani, iniziato da Enea Becheroni. Tornato a Siena realizzò molte opere: un Michelangelo Buonarroti per Villa Lucarini Saracini, Il genio della morte, Le virtù teologali, il Tobia e La visione di Ezechiele per il cimitero di Siena, il Monumento Civile ai Caduti in piazza dell’Indipendenza e il monumento a Sallustio Bandini in piazza Salimbeni.
Tra le sue opere più famose anche alcune riproduzioni di opere scultoree antiche sottratte all’esposizione agli agenti atmosferici per preservarle. Si ricordano la Fonte Gaia di Jacopo della Quercia, le sculture del Duomo di Siena e quelle per Santa Maria del Fiore a Firenze. Per questa chiesa collaborò anche alla realizzazione della nuova facciata, scolpendo il bassorilievo della Maria in trono con uno scettro di fiori sul frontone del portale centrale. Nel 1879 creò il Monumento ai caduti nella guerra di indipendenza, oggi nei giardini del viale Pannilunghi a San Prospero, Siena.
Luigi Bienaimè (Carrara 1785 – Roma 1878)
Frequentata l’ Accademia di Belle Arti di Carrara, si trasferì nel 1818 a Roma, dove entrò nello studio di Bertel Thorvaldsen, per rimanervi, come aiutante e poi come direttore, fino alla morte del maestro danese.
In questa funzione eseguì di sua mano numerose copie delle sculture di Thorvaldsen, non tralasciando la realizzazione di sue opere di invenzione, che pur influenzate dallo stile del maestro, denotano una carica di sentimenti, del tutto alieni allo stile del danese.
Molto apprezzato dallo Zar Nicola I, Luigi Bienaimè ha lavorato a lungo per la corte e l’aristocrazia di San Pietroburgo, città nella quale si conservano numerose copie delle sue sculture più famose.
Alla morte di Thorvaldsen, ne ereditò anche il posto di socio emerito all’Accademia di San Luca.
Antonio Canova (Possagno 1757 – Venezia 1822)
Ritenuto universalmente il massimo esponente del Neoclassicismo, Antonio Canova è stato uno dei principali scultori di ogni epoca, ben presto chiamato per questo “il nuovo Fidia”.
La sua formazione e il suo apprendistato si svolsero interamente a Venezia, dove realizzò le prime sculture e ottenne i primi riconoscimenti.
A ventidue anni, si trasferì a Roma, dove si conquistò un ruolo da protagonista nell’ultima stagione di spessore europeo dell’arte italiana.
Cantore assoluto della bellezza ideale, priva di affettazioni, condensata nei gruppi di figure, come le Tre Grazie o le due diverse versioni di Amore e Psiche, in capolavori assoluti come la Venere italica e Paolina Borghese, Antonio Canova ebbe una influenza decisiva nel determinare il carattere e la qualità dalla scultura europea tra Sette e Ottocento.
Carlo Finelli (Carrara 1782 – Roma 1853)
Carlo Finelli inizia la sua formazione artistica a Firenze, per poi trasferirsi a Milano, e da qui a Roma, dove frequenta lo studio di Canova, e ottiene da subito un vasto apprezzamento, tanto che già nel 1814 viene nominato accademico di San Luca.
Iniziò da questo momento una intensa produzione di opere, prevalentemente di soggetto mitologico, per soddisfare le esigenze di un ricco collezionismo internazionale, soprattutto inglese e russo, realizzando tra le altre cose il suo capolavoro, le Ore Danzanti dell’Ermitage di San Pietroburgo.
Nonostante i vasti riconoscimenti, a partire dagli anni Trenta Finelli si allontanò completamente dai soggetti mitologici, troppo legati alla stagione neoclassica, per affrontare temi di intonazione religiosa, secondo un interesse sempre più diffuso in ambiti puristi, soprattutto a Roma.
Rinaldo Rinaldi (Padova 1793 — Roma 1873)
Protetto da L. Cicognara, studiò a Venezia, poi a Roma con Antonio Canova, nel 1830 divenne accademico di San Luca. Eseguì gruppi, ritratti e monumenti funebri tra cui: Cefalo e Procri (in più repliche); il busto del Petrarca (Padova, Duomo); il monumento del conte Cini (Roma, chiesa di Gesù e Maria); Adone e Chirone che ammaestra Achille (Venezia, vestibolo dell’Accademia).
Pietro Tenerani (Carrara 1789– Roma 1869)
Dopo aver studiato all’Accademia di Belle Arti di Carrara, nel 1814 si trasferì a Roma, per perfezionarsi con Antonio Canova e Bertel Thorvaldsen, per poi intraprendere un percorso autonomo, ottenendo ben presto un ampio consenso e grandi riconoscimenti.
Le sue opere furono ben presto ricercate dai collezionisti più prestigiosi; i suoi ritratti, trasfigurati nella sua particolare accezione del vero, furono molto ambiti dai personaggi più famosi di tutta Europa; alcune delle sue sculture a soggetto furono replicate più volte, per assecondare richieste sempre più numerose ed esigenti.
Fra i sottoscrittori del manifesto del purismo italiano, divenne nel 1856 presidente dell’ Accademia di San Luca, quindi nel 1858 presidente dei Musei Capitolini, ed infine a partire dal 1860 direttore dei Musei Vaticani.
Bertel Thorvaldsen(Copenaghen, 1770 – 1844)
Fu soltanto il 29 agosto 1796 che Thorvaldsen poté finalmente iniziare il suo viaggio per Roma, dove giunse l’8 marzo dell’anno successivo a causa di soste a Malta e Napoli. Tale data venne in seguito festeggiata dall’artista come il suo “compleanno romano”; nell’Urbe Thorvaldsen si fece chiamare “Scultore Alberto”. Poco tempo dopo il suo arrivo a Roma Thorvaldsen conobbe l’archeologo Jörgen Zoega, che lo aiutò nello studio dell’antichità classica e che col tempo divenne anche il suo mentore, nonché il pittore Asmus Jacob Carstens, che parimenti si prese cura di lui. Nel 1797 Thorvaldsen inaugurò il suo primo studio in via del Babuino 119, nell’atelier previamente utilizzato dallo scultore inglese John Flaxman.
Quando poco prima della scadenza della borsa di studio Thorvaldsen inviò il suo Bacco e Arianna all’Accademia di Belle Arti di Copenaghen, quest’ultima gli estese il finanziamento del suo soggiorno romano per un altro biennio e nel 1802 per un ulteriore anno. In questo periodo l’artista danese patì tuttavia notevoli ristrettezze economiche e visse in una situazione di incertezza politica. Quando nel 1803 Thorvaldsen era in procinto di ritornare a Copenaghen assieme allo scultore berlinese Hagemann la partenza venne differita per alcuni giorni; fu proprio in questo frangente che egli conobbe il banchiere e collezionista inglese Thomas Hope (già mecenate di Flaxman), che gli commissionò la traduzione in marmo del Giasone. Un primo modello del 1801 del soggetto era già stato distrutto da Thorvaldsen, mentre un secondo – pur altamente lodato da Georg Zoëga ed Antonio Canova, non piacque all’artista. Varie vicissitudini rallentarono però il lavoro, cosicché solamente nel 1828 Thorvaldsen poté terminare la scultura ed inviarla a Hope in Inghilterra. Sta di fatto che lo scultore danese ottenne un enorme successo, che fino al 1818 lo trattenne in Italia. A dimostrazione di ciò fu membro della prestigiosa Accademia di San Luca di Roma, di cui fu anche Presidente negli anni 1827-28.
Carl Conrad Albert Wolff (Neustrelitz,1814 – Berlino 1892)
Figlio dello scultore ed architetto Christian Philipp Wolff (1772-1820) si trasferì a Berlino nel 1831 dove già viveva suo fratello. Studiò con un vecchio amico di suo padre, il celebre scultore Christian Daniel Rauch. Questi, nel 1844, lo inviò a Carrara allo scopo di scegliere i marmi migliori per la realizzazione delle statue della terrazza superiore del castello di Sans-Souci. Wollf rimase due anni in Italia e, tornato a Berlino, assistette Rauch nella creazione del suo monumento a Federico il Grande. Ricevette delle commesse, come quella della contessa Raczynska che si fece rappresentare nelle vesti di Igea per una fontana a Poznań, e come una Crocifissione in marmo con la Vergine Maria e Giovanni, per la chiesa di Kamenz.
Wolff realizzò due opere Bacco e la pantera, in marmo che si può ammirare nell’Alte Nationalgalerie di Berlino.Nel 1886, Wolff divenne professore all’Accademia delle arti di Prussia avendo come allievi Ludwig Cauere Wilhelm Wandschneider. Suo figlio Martin Wolff divenne uno scultore abbastanza noto.